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29 giugno 2016

I primi dinosauri mesozoici fossilizzati nell'ambra

Nel 2002, Dalla Vecchia e Chiappe descrissero i resti di un piccolo enantiornite libanese, la cui posizione filogenetica fu poi analizzata da Cau e Arduini (2008), che istituirono Enantiophoenix electrophyla. Il significato del nome della specie electrophyla è “che ama l'ambra”. Il nome lo decisi ispirato da alcune goccie di ambra mescolate assieme ai resti scheletrici dell'animale, il quale preserva anche alcune tracce carboniose delle piume. La presenza di gocce d'ambra assieme al fossile suggeriva che questo piccolo aviale, grande come un passero, avesse inglobato alcune gocce di resina, o che, in alternativa, il suo corpo fosse rimasto impregnato da alcune gocce di resina poco prima della morte. Per chi non lo sapesse, la resina fossilizzata è proprio l'ambra.
Ogni volta che si menziona l'ambra in discorsi sui dinosauri mesozoici, il richiamo alle suggestioni di Jurassic Park è immediato. Tuttavia, l'idea che un dinosauro possa fossilizzare dentro l'ambra è abbastanza ridicola, perlomeno se pensiamo ai dinosauri di dimensioni medio-grandi. L'ambra è molto nota per aver conservato in modo squisito molti piccoli animali, sopratutto artropodi. Meno noto è che, occasionalmente, anche piccoli vertebrati possono essere inglobati, anche solo in parte, nell'ambra: in particolare, abbiamo un discreto record di piccoli anuri e lucertole, i quali forniscono una rarissima ed eccezionale documentazione della forma corporea e di dettagli delle parti molli in questi animali altresì noti solo da resti scheletrici.
Uno dei siti più famosi al mondo per la preservazione di resti di piccoli vertebrati nell'ambra è presente in Birmania, e risale alla metà del Cretacico. Una ricca fauna di piccoli squamati da questo è stata recentemente pubblicata, fornendo una considerevole mole di dati anatomici sull'aspetto di queste lucertoline, coeve dei dinosauri.
Ovviamente, il desiderio di tutti era che qualche altro vertebrato, più "esotico", fosse conservato in queste ambre. Da qualche tempo, circolava tra gli addetti ai lavori la notizia che alcuni resti di animali piumati fossero stati scoperti tra le ambre birmane. Non solo ciuffi di piume isolate, già scoperte in precedenza, ma veri e propri resti del corpo.

18 giugno 2016

L'inattesa (ma non troppo) possibilità di tyrannosauroidi (giganti) africani

Nel terzo più bel film sui dinosauri nella storia del cinema, un iper-vitaminico e ipo-realistico Spinosaurus fa letteralmente a cazzotti con un Tyrannosaurus. Aldilà della ovvia implausibilità biomeccanica dello scontro, l'obiezione classica verso quella scena è che spinosauridi e tyrannosauroidi giganti non si sono mai incontrati, dato che i due gruppi sono noti in differenti regioni (Africa vs Asiamerica) e momenti (Cenomaniano vs Maastrichtiano) del Cretacico.
Eppure, sta lentamente emergendo una possibilità molto eccitante, almeno per gli appassionati di theropodi veri, non di mostri cinematografici. Forse, spinosauridi giganti e tyrannosauroidi giganti convissero assieme, nelle medesime regioni. E la cosa affascinante è che, forse, lo sapevamo già da tempo...
Andiamo per gradi.

14 giugno 2016

La densità neuronale nel cervello aviano cosa ci dice dei theropodi mesozoici?

Le dimensioni contano. 
Nello studio del cervello animale, questa massima è stata spesso utilizzata, in vari modi. 
Un elefante africano adulto ha un cervello che pesa 4 chili e mezzo. Un uomo adulto ha un cervello che pesa un chilo e mezzo. In dimensioni assolute, entrambi gli animali hanno cervelli enormi se confrontati con la maggioranza dei vertebrati, ma dei due è l'uomo quello che ha - notoriamente - le "prestazioni" cerebrali più sofisticate. Pertanto, la dimensione pura e cruda, da sola, non è sufficiente per dedurre qualcosa sulle capacità cerebrali.
Generalmente, la frase è allora ridefinita come "le dimensioni relative contano", ovvero, la quantità cerebrale, in relazione alle dimensioni corporee, ci dice qualcosa sulle "prestazioni" del cervello. 
Un elefante adulto ha una massa di 4 tonnellate, mentre l'uomo adulto ha una massa di 70 kg. Ne deriva che l'elefante ha una massa cerebrale pari a circa 1/1000 del corpo, mentre l'uomo ha una massa cerebrale pari a 1/46 del corpo. Già questo rapporto parrebbe dare delle indicazioni utili sulle prestazioni cerebrali. Tuttavia, il semplice rapporto lineare come quello appena usato è fuorviante. Un organo non necessariamente cresce in misura lineare con le dimensioni corporee, e gli animali più piccoli tendono ad avere rapporti più elevati di quelli più grandi. Difatti, se prendiamo in considerazione un topo, con un cervello di mezzo grammo ed un corpo di 40 grammi, vediamo che ha, rispetto all'elefante, un cervello dieci volte più massiccio in relazione al corpo. Eppure, siamo portati a considerare l'elefante più brillante del topo in termini di repertorio comportamentale.
Il problema è che, quindi, le prestazioni del cervello non sono una pura espressione di dimensioni assolute o di rapporti dimensionali, ma una combinazione delle due. Avere un cervello grande in termini assoluti aiuta, ma a patto che quel cervello sia anche grande rispetto al corpo.
Esiste anche un ulteriore fattore, che finora era stato preso poco in considerazione: la densità delle cellule nervose, ovvero, il loro numero rispetto alla massa del cervello. Il tessuto cerebrale difatti non è identico nella sua composizione, sia tra specie differenti che tra diverse parti del cervello.
L'elefante ha 270 miliardi di neuroni nel suo cervello, ovvero, una densità di circa 60 milioni di neuroni per grammo di cervello. Un uomo ha "solo" 90 miliardi di neuroni, ma la medesima densità dell'elefante. Il topo, pur avendo solo 70 milioni di neuroni, ha una densità maggiore rispetto all'uomo ed all'elefante. Ma se confrontiamo la densità a livello del pallio (la parte telencefalica del cervello, quella che processa i comportamenti più complessi e sofisticati), vediamo che l'elefante ha una densità di neuroni nel pallio di 1 milione e 200 mila per grammo, il topo di 3 milioni (più del doppio di quella dell'elefante), e l'uomo di 11 milioni, ovvero nove volte maggiore quella elefantina e quasi quattro volte quella del topo. 
Pertanto, è ragionevole supporre che le prestazioni del cervello animale siano in parte deducibili dalla combinazione di questi fattori: grandi dimensioni assolute del cervello ma anche dalla densità dei neuroni, specialmente a livello del pallio.

Perché scrivo questa lunga digressione sui cervelli di alcuni mammiferi? In uno studio uscito in questi giorni, Olkowicz et al. (2016) misurano la densità dei neuroni nei cervelli di vari uccelli (sia in toto che a livello delle varie aree cerebrali, come il pallio) e ottengono risultati molto interessanti.
Un paio di esempi.
Un emù adulto (massa corporea di 33 kg) ha una massa cerebrale di 22 grammi, ovvero un rapporto cerebrale assoluto di 1/1500, ben più basso dei tre mammiferi mostrati prima. Tuttavia, la densità neuronale è la medesima dell'uomo e dell'elefante (60 milioni di neuroni per grammo di cervello). E se confrontiamo la densità a livello del pallio, l'emù ha una densità doppia di quella umana (8 volte quella del topo e 20 volte quella dell'elefante). In poche parole, il cervello di questo uccello, per quanto piccolo come dimensioni corporee relative rispetto a quello dei mammiferi, ha una densità di cellule nervose molto maggiore. E questo risultato, già notevole per un uccello non particolarmente brillante come un emù, diventa sbalorditivo se prendiamo in considerazione corvidi e pappagalli. Il cervello di un corvo (massa corporea di 1 kg) ha una massa di 14 grammi (1/70 del corpo), ma ben 2 miliardi di neuroni, di cui 1 miliardo e 200 milioni nel pallio. Ovvero, il cervello del corvo ha una densità di 150 milioni di neuroni per grammo, più del doppio di quella umana o dell'elefante. Ed a livello del pallio, la densità è di oltre 90 milioni di neuroni per grammo, quasi 9 volte quella umana!
In generale, Olkowicz et al. (2016) dimostrano che gli uccelli hanno una densità neuronale comparabile a quella dei mammiferi primati, e che tale valore è enormemente più grande per corvidi e pappagalli. Ciò non stupisce, considerando le elevate capacità cognitive di questi uccelli nonostante le dimensioni assolute dei loro cervelli.

Tuttavia, per quanto corvi e pappagalli siano estremamente interessanti, qui mi interessa il valore dell'emù, la forma più basale analizzata in questo studio. I valori nei corvidi e pappagalli sono chiaramente delle condizioni molto derivate tra gli uccelli, esattamente come il cervello umano non può essere preso come "norma" dei mammiferi. Eppure, anche l'emù, pur nella sua relativa "semplicità" comportamentale, mostra densità cerebrali elevate rispetto alla maggioranza dei mammiferi. Ciò suggerisce che l'elevata densità neuronale è un carattere ancestrale di tutti gli uccelli moderni. Quanto "indietro" filogeneticamente (lungo la linea basale aviana e dinosauriana) possiamo estendere questa elevata densità neuronale? Rispondere a questa domanda aiuterebbe a comprendere (o perlomeno, stimare) le prestazioni cerebrali nei dinosauri mesozoici. Purtroppo, in questo studio non ci sono dati sui cervelli dei rettili attuali, e quindi non è chiaro se e quanto questi ultimi siano comparabili agli uccelli, o se abbiano valori mammaliani, o se abbiano valori differenti. 
Un confronto con i rettili attuali potrebbe aiutare a dedurre l'evoluzione della alta densità neuronale aviana. Se l'aumento della densità neuronale nel pallio è legata all'espansione del telencefalo, allora potremmo supporre che sia iniziata nei maniraptoriformi, i cui calchi endocranici mostrano una maggiore dimensione telencefalica rispetto agli altri dinosauri. Tuttavia, non è detto che i due fenomeni siano così strettamente correlati. Inoltre, quanto l'evoluzione del bipedismo, con tutto il bagaglio di riorganizzazioni posturali e locomotorie, può aver inciso sull'evoluzione di una maggiore (e più efficiente) gestione delle informazioni nervose? Se questo fattore fosse parte dei meccanismi che hanno favorito la maggiore densità neuronale, allora il fenomeno potrebbe essere iniziato relativamente presto nella storia dei dinosauri. Tuttavia, dubito che il bipedismo (processo locomotorio non coordinato dal telencefalo) abbia svolto un ruolo nel selezionare l'aumento di densità neuronale nel pallio. Un altro fattore che sicuramente ha inciso nel selezionare una maggiore "densità" neuronale è stato la riduzione delle dimensioni del cranio, e l'alleggerimento della regione neurocranica, fenomeno che caratterizza i maniraptoriformi e sopratutto le forme volanti. Anche in questo caso, allora, l'evoluzione di cervelli con una maggiore densità sarebbe da collocare in Maniraptoriformes.
Si tratta di mere considerazioni: solo uno studio della densità neuronale nei rettili viventi ed una eventuale relazione tra densità neuronale e attributi fossilizzabili potrà portare informazioni in questo ambito.

Nondimeno, la elevata densità neuronale aviana suggerisce che, almeno teoricamente, la mera dimensione corporea relativa del cervello non rappresenti - da sola - una limitazione alle prestazioni cerebrali. Ma, ripeto, in assenza di dati diretti per stimare la densità neuronale tra i dinosauri non-aviani, la questione resta puramente speculativa.

09 giugno 2016

Sulla realtà dei fossili di theropode squamati

Ogni tanto, circolano online delle “notizie” che di nuovo hanno solo la data di circolazione. In genere, è sufficiente che qualcuno metta online un'immagine, la circondi di un'alone di sensazionalità, ed in poche ore essa inizia a circolare, copia-incollata da orde di fruitori acritici che, senza porsi minimamente la domanda su quale sia la fonte originaria di tale immagine, si prestano passivamente alla diffusione della non-notizia.
Proprio oggi, circola online la foto di un frammento di pelle fossile, apparentemente di età mesozoica e riferito ad un Tyrannosauridae. Il frammento di pelle fossile mostra un rivestimento tubercolato, e quindi è automaticamente preso a “evidenza” che Tyrannosaurus in vita fosse squamato. Squamato dalla testa ai piedi, ovviamente.
Il post non vuole parlare dell'eventualità che Tyrannosaurus fosse squamato o piumato: ne ho discusso ampiamente molte volte negli 8 anni di vita del blog. Vi basta digitare “piumaggio + Tyrannosaurus” nella barra di ricerca in alto a sinistra per avere un campionario dei miei post sul tema. Piuttosto, voglio smentire che queste “notizie” siano “nuove”. L'esistenza di frammenti fossilizzati di pelle di theropodi con tracce di tubercolature è nota da vari decenni, e numerosi sono gli esemplari che mostrano tale tegumento.
Io stesso sto studiando un theropode molto ben conservato, completo ed articolato, che preserva ampie parti della pelle. Non posso per ora parlare nello specifico dell'esemplare, ma mi limito a mostrare un dettaglio della pelle fossilizzata.



Vedete che l'esemplare è chiaramente tubercolato, con un rivestimento di squame che formano un pattern caratteristico, ma al tempo stesso variabile a seconda della parte del corpo. A destra si vede chiaramente che le squame sono accostate ma non imbricate. A sinistra si intravede come le squame seguano la forma del corpo, quindi non siano un artefatto del sedimento in cui il fossile era preservato. Sono squame vere e genuine.
Il fossile non mostra alcuna traccia di piumaggio, nonostante la ottima preservazione delle squame. Dobbiamo concludere che l'animale in vita fosse ricoperto completamente di squame?
Se leggessimo il fossile “alla lettera”, ovvero senza considerare il contesto ambientale e sedimentario in cui si è fossilizzato, e senza considerare argomentazioni di tipo filogenetico, sì, potremmo genuinamente concludere che l'animale è squamato. Il fossile è completo ed articolato, e la pelle preservata in modo eccellente, come mostra questa foto. Nessuna traccia di piume. Abbondante traccia di squame. Le prove dirette dicono quindi “squame”, quelle indirette suggeriscono “forse anche piume”. A cosa dare ragione?

L'inferenza filogenetica ci dice che i parenti noti di questo animale erano ricoperti anche di piumaggio. Ma, si sa, l'evoluzione può produrre animali molto diversi dai loro parenti. Potremmo negare che questo fossile possa effettivamente appartenere ad una specie squamata? Forse vi ho convinti che un fossile come questo è un buon argomento a favore dell'esistenza di theropodi completamente squamati. Tuttavia, ho ottimi motivi per sostenere che l'animale in questione, in vita, fosse ricoperto anche di piumaggio nonostante che il fossile dica altrimenti. Anzi, sono sicuro che l'animale da vivo fosse abbondantemente piumato. Il motivo è che lo scheletro di questo animale è riferibile ad un genere di uccello attualmente vivente, ovvero ad un genere animale abbondantemente piumato. Il fossile è chiaramente quello di un animale mummificato, sepolto in un sedimento acido e disidratante. Chiunque abbia visto una carcassa animale mummificata in condizioni aride ha presente quanto la pelle tenda a perdere il piumaggio/pelo qualora fosse presente in vita. Inoltre, il frammento di pelle che vi ho mostrato proviene dalla caviglia, area squamata anche negli uccelli attuali. Non è un caso che, infatti, il resto del corpo non mostri queste tubercolature. Come la maggioranza degli uccelli odierni, anche questo fossile presenta le squame solamente nei piedi, mentre il resto della pelle manca di tubercolature e mostra una texture differente.
L'esempio serve a mostrare come sia facile distorcere i fatti per far apparire sensazionale qualcosa che non lo è, e per sostenere qualcosa che difatti non può essere sostenuto da tale “prova”.

Usereste questo esemplare come prova dell'esistenza di una specie di uccello squamato? Sosterreste che, fintanto che non sarà trovato un fossile di quella specie con tracce di piumaggio, sia lecito ricostruire questo animale con la pelle completamente squamata? In ambo i casi, mi auguro rispondiate “no!”.

Pertanto, così come sarebbe ridicolo sostenere che un genere di uccello moderno abbia avuto in passato una specie squamata solo perché avete visto online la foto di un frammento fossile della pelle della caviglia di un uccello mummificato, così è altrettanto ridicolo sostenere che la foto di un frammento di pelle del piede di un dinosauro mesozoico sia la prova che tale dinosauro fosse in vita privo di piumaggio.